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Grundig V1700

Sanyo ja220 e Grundig V1700

Sanyo ja220 e Grundig V1700

Si sente spesso parlare di questo amplificatore in termini entusiastici.

Esistono gruppi di persone che hanno preso ad esempio il Grundig V1700 come il massimo delle amplificazioni costruite in ogni luogo e in ogni tempo. Lo hanno eretto a pietra miliare dell’alta fedeltà di ogni epoca e lo utilizzano a stregua di icona da esibire in ogni frangente.

Personalmente, pur amante del marchio Grundig, non sono tra essi. Non voglio assolutamente dire che il Grundig V1700 sia un pessimo amplificatore: tutt’altro. Suona in modo discreto e se accoppiato con casse adeguate, riesce anche ad essere simpaticamente piacevole, ma … e c’è un “ma”, a mio parere, non è sicuramente tra i migliori prodotti dal marchio di Furth (anche perché non è stato prodotto da Grundig)

Il V1700 è un apparecchio Sanyo ri-marchiato. Lo stesso si può affermare per quanto concerne il Grundig V1850

Ho avuto in casa l’apparecchio per diverso tempo. Ho tremato spesso accendendolo. La mia paura che mi fulminasse un paio di fantastici diffusori mi ha attanagliato ogni volta.

C’è poi un fatto abbastanza importante per non farmi appassionare molto da questo apparecchio: ha uno stadio phono veramente misero… e si sente. Per me, analogista a tutto tondo, questo handicap è imperdonabile.

La mia impressione è quella di avere anche sempre un eccesso di bassi che, se da una parte può anche essere considerato “piacevole”, dall’altro mi dona sempre la sensazione di una sorta di inadeguatezza. La cosa divertente è che questo amplificatore, in ambienti ostili al comando loudness, viene apprezzato a dismisura.

Questa mia impressione è stata poi anche suffragata dai fatti “elettronici”.

come diceva a suo tempo il forumista “études et recherches acoustiques” nel suo post:

Il loudness , realizzato con una rete RC , R711 C709, è disinseribile tramite lo switch S3 che cortocircuita il condensatore.
ma, la rete RC , R710 C708 , non è disinseribile !  e costituisce una piccola esaltazione sui bassi permanente. ( Chi è che diceva di rifuggire le ruffianerie ? ). …
Adesso lo posso sostenere matematicamente :
Una parte del loudneess nel v1700 non è disinseribile !

In questo articolo, riporto integralmente l’ennesimo contributo di Piercarlo Boletti, apparso qualche tempo fa sul noto forum di Videohifi. Non vorrei che una disamina così particolareggiata potesse, nel tempo, andare persa.

Sono sicuro che pochi riusciranno a leggere per intero il suo articolo tecnico. Quelli che avranno i mezzi culturali per “seguirlo” nella sua disamina, avranno modo per complimentarsi con lui.

Ancora una volta, i segreti sono svelati…

Ed eccoci ad addentare l’altro grande favorito dai grundigofili (ndr: non siamo noi di Grundiglove) , il V1700. Inizialmente ero piuttosto restio a prendere in considerazione questo amplificatore, non fosse che per il fatto che, direttamente, non l’ho mai ascoltato; ho ascoltato invece il suo fratello V1850 che però ha un’altra impostazione tecnica (a mio avviso più corretta: quantomeno certe “nozze” tra stadio finale e controlli di tono sono evitate alla radice, con gran giovamento per tante cose… anzitutto per non incorrere nel rischio di divenire una sorta di “tweteer serial killer” come sta succedendo per alcuni).

Il motivo della mia reticenza era dovuto al fatto che lo spiegare lo schema di questo amplificatore mi dava un po’ la sensazione di spiegare… cos’è l’acqua calda. Senonché ad un certo momento mi è venuto il dubbio che forse era “acqua calda” solo per alcune persone ma non per tutti. E che in ogni caso, fosse pure stata acqua calda, andava fatto almeno un tentativo di spiegazione sul PERCHÉ’ l’acqua calda, in questo caso, suona e suona pure in un certo modo.

schema

schema

Il V1700 è in pratica un doppio operazionale di potenza a componenti discreti, ovvero una struttura circuitale espressamente prevista per sviluppare un alto guadagno ad anello aperto da utilizzare successivamente come alto fattore di controreazione con cui spianare il più possibile tutte le magagne spianabili con il suo impiego. Poiché, a parte che per lo stadio phono MM, questo finale svolge anche la funzione di preamplificatore, il suo essere concepito come “operazionale a discreti” era di fatto l’unica scelta praticabile per ottenere allo stesso tempo sensibilità e linearità adeguate ad un prodotto Hi-Fi. E si sono comunque sforzati di far qualcosa al di sopra della media; altri se la sarebbero cavata con una coppia di monolitici di potenza (come peraltro fanno in tanti anche oggi per elettroniche tutt’altro che economiche…) e fine della storia.
In effetti anche in Grundig hanno “quasi” fatto così: lo schema NON è farina dei progettisti che in Grundig si occupano abitualmente di elettroniche audio e questo lo si vede da tanti particolari, affidabilità compresa. Ma andiamo avanti con calma.

amplificatori a confronto

amplificatori a confronto

Lo stadio di ingresso dovrebbe fare andare in brodo di giuggiole gli estimatori dei cosiddetti “pre-passivi” (che, non lo dice quasi nessuno, costituiscono peraltro un buon 70% di qualunque premplificatore visto che, essenzialmente, gran parte delle sorgenti sono soltanto da commutare tra loro e non da amplificare): un commutatore rotante per tre ingressi (tuner, CD, phono), più un tasto che seleziona l’uscita del commutatore rispetto all’ingresso tape/monitor.
Ogni ingresso è equipaggiato da un passa basso che limita la massima frequenza entrante a 2.8 Mhz (in realtà, ipotizzando una impendenza di uscita media delle sorgenti pari a circa 5 kOhm, a circa 320 kHz, 9 volte meno). Fine della storia.

Subito dopo i commutatori di ingresso ci sono i controlli di bilanciamento, volume e loudness – ad alta impedenza per non caricare troppo le sorgenti, che in ogni caso, come impedenza di uscita propria, è opportuno che si tengano bassi: il circuito, con i controlli di livello al massimo e bilanciamento al centro, offre come massima impedenza di ingresso circa 30 kOhm, a cui va aggiunto in parallelo l’eventuale contributo dell’impedenza dell’ingresso record, qualora venga utilizzato un registratore.
Il controllo di bilanciamento (a singolo potenziometro) è del tipo peggiore possibile per un circuito totalmente passivo ed è opportuno lasciarlo sempre in posizione centrale. Per evitare problemi di impedenza, sarebbe stato meglio utilizzare un doppio potenziometro di volume a corsa complementare (un canale aumenta mentre l’altro diminuisce) ma è evidente che, in questo caso, il risparmio era la più prioritaria delle priorità e anche un comando di bilanciamento arrangiato in maniera più idonea sarebbe stato un lusso eccessivo. Lo si vede anche dalla qualità del loudness (che, per la parte attiva in frequenza, è completamente disinseribile, nonostante una non felicissima grafica possa far pensare il contrario), che con quello tipicamente offerto da Grundig non c’entra un bel niente.

Usciti dal controllo di volume ci si trova affacciati direttamente agli ingressi del finale che, già a partire dai transistori utilizzati, è giapponese dalla testa ai piedi. Prima di proseguire lo studio, occorre definire di che pasta sono fatti questi transistori, in modo da farsi un’idea più definita dei loro pro e contro (ed eventualmente, quando serve, poterli sostituire con cognizione di causa).

Q703 e Q803 – 2SA999F – Dal non molto che si può evincere dal datasheet in giapponese, è elettricamente un equivalente abbastanza stretto del nostrano BC560B; differisce però nella piedinatura: il BC 560 è un EBC mentre il 2SA999 è un ECB. In questo circuito non è un tipo di transistor critico e può essere sostituito da qualsiasi PNP di segnale con beta sufficientemente alto (almeno “B”).

Q701-Q702-Q704 e Q801-Q802-Q804 – 2SA1038S – Di questo transistor non sono riuscito a rintracciare alcun vero equivalente europeo. Le sue caratteristiche lo rendono adatto come carico attivo del VAS (di cui costituisce un complementare realmente tale anche se non “ufficiale”), mentre il suo impiego nel differenziale di ingresso lascia qualcosa a desiderare. Anche qui la voce prezzo deve essere stata decisiva sulle altre.

Q705 e Q805 – 2SC2362F – Questo transistor, usato con il suo “complementare uffiicioso” 2SA1038S, fanno insieme culo e camicia e, a mio avviso, la timbrica tranquilla di questo piccolo amplificatore è interamente dovuta alle caratteristiche di accoppiamento del VAS e del suo carico attivo.

Q706-806 e Q707-807 – 2SC2235Y e 2SA965Y – Questa coppia di driver complementari Toshiba può, in caso di guasto e di irreperibilità degli originali, essere sostituita senza problemi con i BD137-BD138 che garantiscono un filo di dissipazione in più. In ogni caso gli originali sono di tipo abbastanza durevole purchè non venga tirato il collo allo stadio finale, cosa fin troppo facile da fare come vedremo giusto tra due righe.

Q708-808 e Q709-809 – 2SC1827Y e 2SA769Y (equivalenti europei più prossimi: BD239 e BD240 o anche TIP31 e TIP32) – Questa coppia di “finalini” da 4 Amp 30 Watt di dissipazione al contenitore (che corrispondono a 10 Watt reali) è come già segnalato da altri, per le caratteristiche dell’amplificatore, una scelta clamorosamente sbagliata: lasciarla al suo posto significa di fatto ridurre l’amplificatore a un amplificatore per cuffia, punto. Se invece si vuole che facciano suonare qualcosa di più consistente, essi andranno equipaggiati con transistors dotati di maggiori capacità di dissipazione e di tenuta in corrente. Vedremo più avanti quali caratteristiche devono avere i finali per un funzionamento affidabile almeno su 8 Ohm (carico ufficiale del V1700) e su 4 Ohm, che però comporta anche una parziale revisione dell’alimentatore (ovvero la sostituzione degli 1N4007 con un ponte da almeno 5 ampere continui – GLI ELETTROLITICI VANNO LASCIATI AL LORO POSTO QUELLI CHE CI SONO!).

Prima dell’ingresso vero e proprio dell’amplificatore vi è una cella di filtro RC – R712 da 1 kOhm e C710 da 100 pF (per l’altro canale valgono gli stessi numeri ma con il 7 iniziale cambiato in un 8). Vediamo adesso a quali frequenze lavora questa cella nella situazione peggiore possibile – ovvero con potenziometro di valore a – 3 dB. Vi sono due casi possibili: senza sorgenti collegate (e potrebbe essere, senza registratore, il caso del tasto source/monitor utilizzato a mo’ di “mute”), e con una sorgente collegata.

Nel primo caso la posizione peggiore corrisponde al punto in cui si ottiene metà del valore del potenziometro di volume sommato a metà valore di quello di bilanciamento, ovvero (250k+250k/2)/2 = 187,5 kOhm. In questa situazione la cella RC ha una R reale di (187,5/2)+1k = 94.75 che, tenendo conto che sul potenziometro di volume, a loudness disinserito, rimane collegata verso massa R711 da 12 kOhm, arrotondiamo a 90 kOhm. 90 kOhm in parallelo a 100 pF danno una frequenza di roll-off pari a circa 17,7 kHz.

Con una sorgente inserita avente per ipotesi impedenza di uscita pari a 5 kOhm le cose si complicano un po’, in quanto abbiamo due situazioni significative: volume al massimo e volume a -3 dB. Nel primo caso abbiamo per R un valore pari a (Rvol//(Rbil/2)//(Rsource+R709))+ R712 – Il simbolo “//” significa “in parallelo”. Ovvero, dopo qualche conto, un bel 10,95 kOhm a cui corrisponde una frequenza di roll-off di 145,5 kHz; una bella botta di differenza rispetto a prima! Ma non è finita, dobbiamo ancora calcolare la situazione con il volume a -3 dB. In questo caso la nostra R sarà definita da R712+((Rsource+R709)//(Rbil/2)+(Rvol/2))//(Rvol/2) = 65,9 KOhm circa che ci fornisce una frequenza di roll-off pari a 24,16 kHz. Per completezza la frequenza più alta della cella “R” su C710 vale 1/6,28*R712*C710, circa 1,59 MHz a volume zero che la rende di interesse puramente accademico.

Tutto questo giro di conti, con risultati diversi tra loro che più non si può, serve ad illustrare due cose: la prima è che i controlli di tono, volendo proprio metterceli, e non volendo spendere altri soldi per un ulteriore stadio buffer attivo (che tra l’altro avrebbe fatto assomigliare il 1700 un po’ di più al 7000), non potevano che essere messi dove sono stati messi. La seconda è che, quando ci si basa su un unico stadio amplificatore come in questo caso, è praticamente inevitabile avere a che fare, in varia misura, con un fondo di rumore dipendente dalla posizione dei controlli di livello e dalle impedenze caratteristiche delle sorgenti, che magari silenziosissime per conto loro, modulano comunque la quantità di rumore presente sugli ingressi del sistema. Questo può essere, a seconda di chi lo usa, un fastidio o un non problema ma è comunque qualcosa di cui va tenuto conto.

Passiamo ora all’esame del circuito amplificatore vero e proprio.

Contrariamente al V7000, il differenziale dello stadio di ingresso del V1700 è tale a tutti gli effetti anche se non ottimizzato. In effetti, see non fosse un utilizzare i cannoni per sparare ai passeri, l’intero amplificatore potrebbe essere analizzato, studiato e criticato secondo i canoni di Douglas Self. Tuttavia, ancora una volta, Self lo lasceremo dov’è perché, come nel caso del V7000, non ci porterebbe da nessuna parte.

La prima cosa che ci serve conoscere per capire come lavora l’ingresso dell’amplificatore sono le correnti erogate dai transistori generatori Q703-803 e Q704-804.
Per far ciò sappiamo che sulla base di questi transistori sono connessi due diodi in serie che si collegano al positivo dell’alimentazione ai cui capi si stabilisce una differenza di potenziale identica alla somma della VBE (tensione base emettitore) di Q703-803 e Q704-804 e delle tensioni ai capiti delle loro RE, ovvero R715 ed R719 (R815 ed R819 per l’altro canale). Poiché le VBE equivalgono grosso modo alla caduta di tensione provocata da un diodo (dovuto naturalmente al fatto che le giunzioni BE sono anch’esse diodi), risulta che la tensione mancante che cade sulle RE equivale a quella dell’altro diodo, cioè 0,6 Volt circa. Pertanto, per la legge di Ohm, otteniamo che la corrente di R715-R815 (e quindi dei collettori di Q703-Q803) equivale a 0,6 Volt/560 Ohm = 1,07 mA, mentre quella su R719-R819 (e quindi sui collettori di Q704-Q804) vale 0,6 Volt/150 Ohm = 4 mA. La corrente insolitamente bassa per il VAS dev’essere un avvertimento… che gatta ci cova. E’ il secondo indizio, oltre all’aver ricercato una coppia che fosse complementare di fatto e non solo sulla carta, che il progettista del circuito, chiunque fosse, sulla qualità del VAS ci puntava molto. DISPERATAMENTE molto come vedremo in seguito.

Conoscendo la corrente che alimenta il VAS (cioè Q705-Q805, attraversati per costruzione di circuito dalla stessa corrente definita dai loro carichi attivi Q704-Q804) possiamo ora definire che tensione esiste su R714-814 da 1,5 kOhm e risalire al modo in cui i due transistori Q701-Q702 (Q801-Q802) si spartiscono la corrente generata per loro da Q703 (Q803). A tal proposito abbiamo un primo contributo costituito dalla caduta di tensione su R720-R820 da 47 Ohm che, moltiplicati per 4 mA danno circa 0,19 Volt, che sommati alla VBE di Q705-Q805 (indicata sullo schema pari a 0.7 Volt) ci fornisce un 0.89 Volt che, divisi per i 1.500 Ohm di R714-R814, ci forniscono (finalmente!) 0,59 mA, leggermente maggiore della metà na che in questo caso, a differenza del V7000, non da nessun fastidio: essendo tutto il circuito compreso entro l’anello di retroazione generale, il tendenziale aumento di distorsione di seconda armonica viene compensato dal leggero aumento di guadagno dello stadio che finirà per compensare l’aumento una volta chiusa la rete di controreazione. In ogni caso, con questo tipo di circuito privo di specchi di corrente posti a carico del differenziale, tutta la questione si riduce alle sfumature della lana caprina.
Il guadagno proprio dello stadio di ingresso può essere stabilito con una procedura simile a quella usata per il V7000: si sommano le Re virtuali dei due transistori nel differenziali e si usa il risultato per dividere la resistenza di carico sul collettore di Q701-Q801 per ottenere il numerino che ci serve. Nel nostro caso le correnti su ciascun transistor sono per Q701-Q801 = 0,59 mA e per Q702-Q802 = 1,07-0,59 = 0,48 mA. Le Re virtuali individuali valgono: 26 mV/0,59 = 44 Ohm e 26 mV/0,48 = 54 Ohm che sommate danno 98 Ohm che usate per dividere R714-R814 da 1,5 KOhm danno un Vgain di 15.3, pari a 23 dB. Un buon “aperitivo”.

E siamo arrivati al VAS… Un VAS da cui, con un po’ di spinta da parte dello stadio di ingresso, si vuole estrarre il più elevato guadagno di tensione possibile, anche a costo di introdurre qualche casino: il gruppo RC sugli emettitori di Q705-Q805 (R720-R820 e C715 e C815) parlano chiaro. Essendo presente un condensatore sull’emettitore, la RE che costituisce il divisore della resistenza di carico del transistore per definirne il guadagno, non è più definita soltanto da R720-R820 ma anche da altre componenti che si collocano in parallelo e in serie a detta resistenza. Vediamo di determinare quali.

Se il gruppo RC non ci fosse, il guadagno dello stadio sarebbe definito soltanto dalla Hr e Ho effettiva del transistore inserito in circuito (che dipende dall’impedenza che questo “sente” tra base ed emettitore), dalla sua trasconduttanza e dalle componenti che definiscono il carico visto dal collettore su cui si sviluppa la tensione di uscita del VAS. La presenza del gruppo RC costringe a fare i conti con una situazione più complessa da valutare con una certa attenzione.
Anzitutto occorre dire che il classico criterio di dimensionare la reattanza del condensatore a un decimo di quello della resistenza è, con i transistori bipolari, completamente errato – in realtà è errato anche con i tubi e con i FET ma in questo caso l’errore è meno evidente perché l’inverso delle transconduttanze è di valore molto simile a quello delle resistenze da bypassare. Con i transistori bipolari invece, se non si tiene conto del fatto che la loro alta transconduttanza corrisponde a resistenze equivalenti di uscita sull’emettitore di valore molto basso, si rischia di ottenere circuiti che funzionano in modo completamente diverso da quanto preventivato.

Nel nostro caso, con una Ic di 4 mA la Re equivalente di emettitore vale 6,5 Ohm, un valore oltre sette volte più basso dei 47 Ohm di R720-R820 su cui C715-C815 sono dimensionati già al pelo. E anche se in serie alla Re virtuale si pone la componente riflessa di R714-R814 (ovvero 1500 Ohm diviso il beta di Q705-Q805 – grosso modo pari a 230 – con altri 6,5 Ohm in serie all’uscita), il divario rimane bello tosto: se con 47 Ohm la frequenza di taglio era pari a circa 34 Hz (e di conseguenza il gruppo RC “spariva” solo a frequenze pari ad almeno 10 volte tanto), tenendo conto che la R reale che il condensatore “sente” in parallelo a se stesso vale 13//47 = 10.2 definisce una frequenza di “roll-in” della piena retroazione che non vale meno di 156 Hz e “cancella” l’influenza del gruppo RC solo ben oltre i 1.500 Hz.

Causa una certa cacofonia di interazioni tra compensazione dominante e azione della cella RC sull’emettitore di Q705-Q805, ho preferito simulare, almeno approssimativamente, il circuito con SPICE per vedere un po’ chi “vinceva”. Il risultato della simulazione è stato un andamento del guadagno ad anello aperto a “campana” che in pratica fa sì che le regioni a media frequenza della banda audio siano sottoposte ad un tasso di retroazione maggiore delle altre bande di frequenza. Detto in altro modo, l’amplificatore è concepito per distorcere meno (anche una decina di volte di meno) nella banda del parlato e delle medie frequenze, dove l’orecchio umano è più sensibile. Da rimarcare che ciò avviene senza ALCUNA ALTERAZIONE DELLA RISPOSTA IN FREQUENZA che non sia quella dovuta ai controlli di tono, che però non hanno niente a che fare con l’andamento del guadagno ad anello aperto. Un “trucco”, se è voluto e non accidentale, veramente sofisticato.

Ritorniamo sui nostri passi per calcolare il guadagno del VAS che, in questo come in tutti gli altri amplificatori aventi la stessa struttura di base, è il contributo al guadagno totale più importante dell’intero circuito. A tal proposito dobbiamo stabilire la composizione del carico equivalente, su cui si sviluppa il guadagno dello stadio, e l’andamento della resistenza equivalente di emettitore, variabile con la frequenza da un massimo costituito da R720-R820 + Re interna ad un minimo costituito dalla sola Re.

Il primo termine è composto dalle 1/Ho di Q704-Q804 e Q705-Q805 in parallelo tra loro e con la resistenza di carico dello stadio di uscita (4 oppure 8 Ohm) moltiplicata per il beta dell’intero stadio finale (che è pari grosso modo in ciascun momento al prodotto HfeQ706*HfeQ708 o HfeQ707*HfeQ709, a seconda della semionda attiva (o, se fosse stato un finale in classe A, sarebbe stato dominante il minore dei due prodotti). Datasheet alla mano, proviamo a vedere come si “esibisce” questo stadio di uscita nei confronti del VAS, ipotizzando un carico di uscita da 8 Ohm, poco Grundig ma decisamente più sicuro per questo “finalino” dai muscoli… di pastafrolla. Prima di arrivare a far ciò dobbiamo però stabilire i livelli di potenza a cui lavora tutto l’ampiificatore

Per calcolare la potenza massima erogabile dobbiamo definire la massima tensione di uscita dell’amplificatore che, a vuoto (e tenendo conto che la tensione di rete è da tempo 230 Volt), è alimentato a +32 e – 32 Volt. In queste condizioni la massima tensione di uscita vale, con i transistori del VAS quasi “impiccati”, circa 29 Volt di picco, destinati a ridursi, una volta collegato il carico e con entrambi i canali in funzione, a circa 25-26 Volt (supponendo che il trasformatore sia davvero buono quanto appare essere: altrimenti meglio trattenersi sui 24 Volt e forse anche meno – Più avanti vedremo da quale cappello saltano fuori certi “conigli”, ovvero i numeri che sto snocciolando come “ovvii”). In queste condizioni, su 8 Ohm, lo stadio finale caccia quasi 3,2 Ampere di picco (già oltre la tenuta nominale dei transistori proposti) dissipando oltre 20 Watt in presenza di segnale genericamente audio (ovvero NON strumentale ma piuttosto un misto di musica e parlato – un discreto “terminator” per gli stadi finali troppo tirati come capacità di dissipazione), un livello di dissipazione assolutamente insostenibile con il dissipatore proposto (la cui capacità di dissipazione totale, confrontando il suo profilo con quello di altri simili, risulta essere pari a circa 1.5 °C/Watt, che è buona ma che va pur sempre equamente divisa tra i due stadi finali, i quali la vedono quasi dimezzata e che noi dimezzeremo per scrupolo a 3 °C/W).

In pratica per trovare la massima potenza dissipabile da un semiconduttore, dobbiamo sommare tutte le resistenze termiche presenti tra la giunzione di questo e l’ambiente e utilizzare il numero che salta fuori come divisore della massima temperatura sopportabile dalla giunzione stessa, a cui vanno preventivamente detratti i “canonici” 25 °C di temperatura ambiente – una detrazione che, se ci tenete alla salute dei transistori delle vostre realizzazioni, vi converrà portare ad almeno 40-50 °C. Ma questo è un altro discorso.

Nel nostro caso abbiamo una temperatura di giunzione massima di 150 °C (tipica di tutti i transistori in contenitore plastico), che diventano 125 °C al netto della detrazione. Questa temperatura va divisa per la somma delle resistenze termiche che il calore incontra mentre si diffonde e disperde nell’ambiente.
Nel nostro caso valgono: 4,17 °C/W (la resistenza tra la giunzione e la base metallica del contenitore del transistore – su questa resistenza, barando non di poco, le case costruttrici di transistori dichiarano la massima potenza dissipabile dai loro dispositivi, una potenza assolutamente teorica e irraggiungibile in quanto presuppone che non vi siano altre componenti di resistenza termica che invece CI SONO SEMPRE e sono sempre di una certa importanza), a cui va aggiunto circa 1 °C/W (la resistenza di montaggio isolato che, nel nostro caso, è praticamente irriducibile a causa del montaggio del transistor con una sola vite che raramente stringe il componente in maniera davvero uniforme) e infine i 3°C/W dell’aletta che, con un totale di 8,17 °C/W, una volta che vanno a dividere la massima temperatura consentita (cioè 125 °C come detto prima), danno fuori un “favoloso” 15,3 Watt, ovvero poco più della metà di quanto sono specificati nei datasheet e ben lontani dai 20 Watt che ci servirebbero per star tranquilli. In queste condizioni, nel caso tirassimo prolungatamente il 1700 alla massima potenza su 8 Ohm, ci ritroveremmo una temperatura di giunzione pari a 25+20*8,17 = 188.4 °C, una temperatura sostenibile con continuità (al pelo) solo da un transistor di potenza in contenitore completamente metallico (TO3, ormai in via di estinzione).

Tutto questo a 8 Ohm. E a 4 Ohm invece? Con 4 Ohm non si scherza e l’amplificatore è palesemente inidoneo a lavorare continuamente su questo carico. Anzitutto perché, nonostante la tensione di uscita raggiunga al massimo 20 Volt di picco, ai transistori è richiesto di gestire su questa impedenza picchi ripetitivi di 5 Ampere per cui non sono proprio stati pensati. Oltre a questo dovrebbero dissipare una potenza termica di almeno 25 Watt che, moltiplicati per gli 8,17 °C/Watt di prima, ci portano a quasi 205 °C/W; nemmeno transistori selezionati per uso militare sono in grado di reggere sovraccarichi termici di questa entità per più di qualche minuto (durante i quali, anche se non dovessero fondere, la loro regione di base si degrada a un punto tale che, di fatto, smette di essere un transistor utilizzabile con profitto).
Ipotizzando di utilizzare questo finale fino a un massimo di 12 Volt di picco sulle uscite con Ic massima di 3 Ampere, la situazione dissipazione non migliora per nulla, ma anzi peggiora perchè, come tutti gli amplificatori in classe B o AB, è proprio alle medie potenze che tendono a dissipare di più (in questo caso un paio di Watt in più che porterebbero la temperatura di giunzione a oltre 220 °C, con collasso garantito entro un quarto d’ora): questa è la ragione di tante fumate “inspiegabili” di amplificatori con raffreddamento sottodimensionato che “partono” proprio in momenti in cui non pareva affatto di “spingerli troppo” o durante le pause di parlato in cui, al di dell’apparenza, lo stress termico per i finali è al massimo.

Possiamo a questo punto fare qualche stima del carico riflesso dall’uscita al VAS considerando l’amplificatore equipaggiato con i suoi transistori e operante (al pelo, come appena visto) esclusivamente su 8 Ohm in modo da dargli qualche speranza di vita in più. In questa situazione, i finali esibiscono, alle varie correnti e tensioni di uscita, i seguenti valori di beta (é tenuto il valore più basso tipico esibito dai due transistor complementari usati come equivalenti, BD239-BD240):

In assenza di segnale, alla esuberante corrente di riposo di 2 mA = 120

A 100 mA di picco (0.8 Volt di picco = 40 mW “r.m.s.”) = 180

A 500 mA di picco (4 Volt di picco = 1 Watt “r.m.s.”) = 100

A 1 Ampere di picco (8 Volt di picco = 4 Watt “r.m.s.”) = 60

A 1,5 Ampere di picco (12 Volt di picco = 9 Watt “r.m.s.”) = 45

A 2 Ampere di picco (16 Volt di picco = 16 Watt “r.m.s.”) = 30

A 2,5 Ampere di picco (20 Volt di picco = 25 Watt “r.m.s.”) = 25

Per parte dei finali, il carico riflesso alle proprie base (che verrà riflesso a loro volta dai piloti sul VAS) varia da circa 1,5 kOhm con 100 mW “rms” fino a poco più di 200 Ohm a piena potenza, una variazione tale da ridurre a puro eufemismo qualunque valutazione qualitativa dei finali impiegati.
Ai finali va a questo punto aggiunta l’influenza dei piloti Toshiba a cui di fatto spetta l’ingrato onere di dare a questi finalastri un “colpo di vita” che renda il tutto almeno passabile.
Sfortunatamente non ci riescono proprio perché, contrariamente ai finali, sono dei driver molto buoni e molto lineari, con beta quasi costante su tutta la gamma di correnti utilizzate. L’unica cosa che possono fare è moltiplicare il carico riflesso offerto dai finali per il proprio beta (circa 180 a regime termico conseguito) che ne spingono gli estremi da un minimo di 36 kOhm alla massima potenza fino ai 259 kOhm con 100 Mw di uscita.

Non c’è che dire… se la timbrica dipendesse dal solo stadio finale, il trabiccolo se la caverebbe giusto come finalino per cuffia o, se proprio si vuole insistere, per diffusori da non meno di 16 Ohm. Ciò che salva all’ultimo momento la situazione è il VAS che, accoppiato al suo carico attivo, esibisce un carico equivalente che, fino ad almeno 1-2 Watt è sempre sensibilmente inferiore a quello presentatogli dallo stadio finale e quindi in grado di garantire una timbrica ragionevolmente indipendente dalle bizze del carico.
Il segreto del buon suono e soprattutto della somiglianza timbrica tra questo amplificatore e il 7000 é praticamente tutto qui: suonare allo stesso modo con qualsiasi diffusore. Il fatto che siano state seguite strade diverse (e, in quest’ultimo caso, in condizioni imposte dai costi veramente al limite della disperazione) non canbia l’unicità dell’obiettivo e del risultato, tanto più notevole in quanto provenienti da due menti evolutesi in due culture profondamente diverse tra loro.
In realtà la vera differenza tra il V7000 e il V1700 è che il primo, anche in virtù di una progettazione più approfondita, mantiene questa qualità quasi a ogni livello di potenza mentre il secondo “tiene” fino a un paio di Watt al massimo e poi si scompone in modo disastroso a causa dell’insulsaggine dei finali usati.

Un ultimo particolare: la resistenza presente tra gli emettitori di Q706-Q707, R721-R821 da 470 Ohm, serve in questo circuito solo a fissare le correnti di riposo dei driver (2,5 mA, non particolarmente critica grazie proprio al fatto di aver la resistenza di bias in comune). L’azione di stabilizzazione del beta dei finali solitamente operata dalle resistenze connesse tra base ed emettitore degli stessi, in questo caso manca proprio perché, dalla resistenza in questione si “vedono” solo le basi ma non gli emettitori. Non influenzando il beta dei finali, non influenza neppure il carico riflesso da questi.

Per quanto riguarda il VAS siamo ormai alla stretta finale: mentre il carico attivo Q704-Q804, a causa del gioco di retroazioni locali che lo trasformano in generatore di corrente, ha un’impedenza di uscita propria tale da autoescludersi tra i fattori che determinano il massimo guadagno dello stadio (cosa che tuttavia non gli impedisce di linearizzarlo, soprattutto rispetto alle variazioni di capacità della giunzione base collettore, le cui variazioni costituiscono un dei fattore molto importante nella “transistorizzazione” della timbrica, soprattutto in prossimità della massima tensione di uscita dell’amplificatore, e nel rendere l’intervento della controreazione lento e loffio proprio dove più gli servirebbe essere veloce, cioè in prossimità della saturazione).
Rimane in gioco, a parte il condensatore di compensazione C714-C814,il solo 1/ho di Q705-Q805, che va estratto graficamente dal grafico IC-VCE del datasheet e che vale circa 110 kOhm, il quale, tenendo conto del fatto che il successivo stadio finale non richiede a regime un assorbimento alla massima potenza superiore agli 0,6 mA per semionda, è da considerarsi costante per quasi tutta l’escursione della tensione di collettore. Detto in altro modo, significa che lo stadio lavora di fatto su una resistenza, con tutti i vantaggi del caso in termini di linearità; un altro indizio che il progettista ha concentrato sulle caratteristiche del VAS quasi tutte le sue carte per salvare la situazione imposta dall’uso di finali inidonei, vincendo una buona fetta della scommessa ma, come vedremo tra poco, non l’intera partita. Cosa che, ben diversamente dal caso del V7000 in cui i dati ricavabili circa guadagno ad anello aperto e tasso di retroazione erano sostanzialmente indipendenti dalle condizioni di lavoro dell’amplificatore, ci costringe a fare i conti ad una potenza di uscita arbitraria ma comunque ben definita – 1 Watt “r.m.s.” su 8 Ohm, scelta sia perchè il beta dei finali non è ancora sceso sotto i 100, sia perchè corrispondente al livello di potenza realmente utilizzato nella maggioranza delle situazioni domestiche. In queste condizioni il carico effettivo visto al collettore del VAS oscilla tra il valore di 111k//259k = 77,7 k al momento del passaggio per lo zero e il valore di 111k//144k = 62.7 k, una variazione già piuttosto importante ma non ancora disastrosa come si verifica già a potenze di poco superiori dove, tra l’altro, il controllo del diffusore viene mantenuto nominalmente solo dalla controreazione, per giunta costretta a dominare un carico complesso, ovvero il peggior tipo di carico su cui possa lavorare.

Ancora un piccolo sforzo. Come abbiamo visto qualche paragrafo sopra, il VAS a causa del gruppo RC sull’emettitore, ha due trasconduttanze o due “Re virtuali” che definiscono, a seconda del carico, il suo massimo guadagno in tensione. Il passaggio tra le due “Re” avviene gradualmente al crescere della frequenza del segnale.
Al di sotto dei 34 Hz “Re” equivale a 26 mV /4 ma + 47 Ohm di R720-R820 + R714/HfeQ705-Q805 = 60 Ohm, mentre al di sopra dei 1225 Hz cade il contributo di R720-R820 lasciandoci con una “Re” di soli 13 Ohm.

Utilizzando queste due “Re” per dividere il carico equivalente sul collettore del VAS, otteniamo un guadagno ad anello non ancora compensato con il seguente andamento:

SOTTO i 34 Hz – Dividendo per 60 Ohm il carico variabile da 77,7 kOhm a 62,7 kOhm, otteniamo un guadagno che varia da 1295 a 1045, che moltiplicati per il guadagno prodotto dal differenziale di ingresso (15,3) forniscono un guadagno ad anello aperto totale che varia da 19.813 a 15.990 passando dallo zero a 1 Watt di uscita pieno. In decibel equivalgono rispettivamente a 86 dB e 84 dB (accettabile, tenendo conto che l’anello di retroazione non è ancora stato chiuso)

SOPRA i 1225 Hz – Con “Re” scesa a 13 Ohm i guadagni del VAS al passaggio per lo zero e ad 1 Watt pieno corrispondono a 77,7k/13 e a 62,7k/13, ovvero 5.977 e 4.823 circa che moltiplicati per 15,3 diventano 91.448 e 73792, equivalenti rispettivamente a 99 dB e 97 dB (i due dB di distacco precedenti ovviamente non cambiano).
Questo è il “trucco” a cui si accennava alcuni paragrafi sopra: al netto delle compensazioni, la gamma medio-alta della banda audio risulta controreazionata di ben 13 dB in più (4,6 volte circa) rispetto alla gamma bassa; questo significa che distorsioni e non linearità varie risulteranno, in gamma media 4.6 volte più “spianate” e “pulite” che nel resto della banda audio e verranno con tutta probabilità percepite come tali anche se forse solo in forma indiretta. Lascio a chi legge trarre le sue conclusioni; per come la vedo io, è un espediente che merita di essere apprezzato: non solo aiuta a diminuire i problemi in bande di frequenza sensibili o “critiche” per il nostro udito ma lo fa senza praticamente alterare niente di udibilmente significativo (l’unica cosa che cambia è il margine di fase ad anello chiuso.

Se queste fossero le prestazioni ad anello aperto su tutta la gamma di potenza erogabile dall’amplificatore il circuito, affidabilità dei finali a parte, sarebbe tutto sommato accettabile. Purtroppo, al crescere della potenza il quadro si deteriora abbastanza rapidamente finendo col caratterizzare l’amplificatore come una elettronica priva di reali riserve di potenza indistorta: A 9 Watt “r.m.s.” (corrispondente a 12 Volt di picco all’uscita, poco più della metà del massimo disponibile) il carico riflesso sul VAS dallo stadio finale corrisponde a un misero 64,8 kOhm che, in parallelo a 1/Ho, porta ad un ancora più misero 40,9 kOhm con non solo quasi 20 dB di guadagno ad anello aperto in meno ma anche con un più marcato distacco tra guadagno al passaggio per lo zero e guadagno a 9 Watt di uscita pieni (salto che equivale a 77,7k/40,9k, circa 1.9, equivalenti a 5.6 dB, una compressione che si trasforma direttamente o quasi in distorsione di intermodulazione.
A questo andamento vanno aggiunti una impedenza di uscita in crescita con la potenza che riduce lo smorzamento dei diffusori proprio dove invece ve ne sarebbe più bisogno

Questo perchè il beta dei finali, oltre che da moltiplicatore dell’impedenza di carico, funziona anche all’incontrario, cioè come divisore dell’impedenza interna del VAS ad anello aperto “vista” dai diffusori. Finchè il beta tiene, l’impedenza di uscita naturale del sistema tenderà ad essere inferiore a quella del carico e quindi possiederà anche una sua capacità di smorzamento intrinseco; quando invece il beta cade, si annullerà anche la capacità di smorzamento naturale, con il risultato che il fattore di smorzamento finale sarà interamente definito dalla controreazione e dall’andamento effettivo di questa che, essendo costituita dalla differenza tra il guadagno utilizzato dal sistema ad anello chiuso e quello reso disponibile dallo stesso ad anello aperto, nel nostro caso non promette molto di buono, anche al netto dell’effetto delle compensazioni di cui parleremo tra poco).

La compensazione in frequenza normalmente servirebbe soltanto a stabilizzare il circuito ad alta frequenza diminuendo, al crescere di questa, il guadagno disponibile ad anello aperto. In questo caso serve anche, diminuendolo, a dare una parvenza di stabilità al carico visto dal VAS prima della chiusura dell’anello di retroazione generale.
Il prezzo da pagare per questa “stabilizzazione” è che l’impedenza di uscita del VAS diventa induttiva, la sua impedenza riflessa sui diffusori diviene crescente con la frequenza, e in buona sostanza l’amplificatore ad anello chiuso si comporta come un integratore linearizzato, protettissimo a bassa frequenza e lasciato allo sbaraglio alle alte frequenza, dove la timbrica rimane alla mercé di qualsiasi cosa, prima di tutto delle porcherie che passano, in entrata e in uscita, attraverso l’alimentatore. Oltre a questo, tende pure a divenire “crossover dipendente”, ovvero l’amplificatore tende a suonare secondo le caratteristiche del carico e del crossover che incorpora anziché fermamente per conto suo, con risultati non facilmente predicibili a priori.

Il motivo di tutto questo risiede nel fatto che tra guadagno ad anello aperto e caratteristiche del carico esiste ora una interdipendenza in cui il risultato finale, per quanto “spianato” e “rabbonito” dalla chiusura dell’anello di retroazione, di fatto non è più controllato da niente se non dall’interazione stessa, che si presenta come un fenomeno caotico (in senso tecnico), poco maneggevole e in cui punti salienti come smorzamento e controllo del sistema vengono quasi degradati a una farsa in quanto, in queste condizioni, non è più in alcun modo chiaro chi controlla chi, cioè se è il diffusore che controlla il comportamento dell’amplificatore o viceversa.

In tale situazione il comportamento del sistema con segnali audio reali non ha più molto a a che vedere con quello desumibile dalle prove con segnali statici di laboratorio, tranne quelli di natura impulsiva, capaci di “scuotere” il circuito dal suo stato di stabilità e autocontrollo apparenti.
Ciò è dovuto al fatto che l’influenza e le interazioni delle componenti complesse (reattive) del sistema si traduce prima di tutto in una espansione dell’intervallo di tempo in cui tale interazione e influenza avviene. Detto in altro modo, se si sa sempre cosa avviene, non si sa più con precisione (almeno con i segnali musicali reali) quando esattamente avviene non tanto il singolo evento ma la sua interazione con tutti gli altri. Il sistema è diventato stabile ma allo stesso tempo ha dovuto sacrificare parte della sua capacità di trasportare informazioni in modo nitido e in-equivoco.

Tornando a noi, la compensazione agisce, in questo circuito, variando la retroazione locale tra base e collettore di Q705-Q805 e lo fa modificando il parametro Hr del transistor che, fisicamente, è attuata all’interno del transistor da una rete RC composta da Cbc (1.5 pF circa nel nostro caso) e una “Rbc” al momento ignota ma stimabile in diverse decine di MOhm (si può anch’essa ricavare con qualche accortezza dai grafici del datasheet ma essendo il suo contributo, a confronto di quello di C714-C814, praticamente irrilevante, risparmio a me e a voi qualche conto, oltreché insicuro, abbastanza palloso).
Come stiamo per vedere, l’influenza di C714-C814 è, a partire dalle medie frequenze, talmente preponderante sugli altri termini da far considerare ben adeguato l’aggettivo “dominante”

NOTA BENE – l’influenza di Cdom, in questo circuito, è calcolata in modo molto diverso dai metodi usati da Self o da altri avvezzi a maneggiare le compensazioni degli amplificatori operazionali in quanto, senza l’uso di specchi di corrente nel circuito di carico del differenziale di ingresso, l’uso della trasconduttanza dello stadio di ingresso per definire su Cdom il guadagno totale del VAS, diviene un’operazione priva di senso. In questo tipo di circuiti, che vede utilizzata proprio una resistenza come carico di collettore dello stadio di ingresso, ciò che definisce il guadagno del VAS è unicamente il parametro Hr del transistor usato, con il valore che ovviamente assume in circuito e non quello specificato sul datasheet (che vale solo come valore di partenza per stimare la bontà del dispositivo).

Al di sotto dei 34 Hz C714-C814 è ancora ininfluente: il guadagno del VAS è ancora interamente definito dal suo guadagno naturale (1295) ma se è ininfluente sul guadagno del VAS non lo è però sull’impedenza di carico vista dallo stadio di ingresso che, in parallelo al 1.500 Ohm di R714-R814 vede un condensatore pari a 68 pF * 1295 = 88,06 nF che a 34 Hz contribuiscono al carico con una reattanza di circa 53 kOhm, ancora trascurabie ma che non rimarrà tale per molto.

Salendo in frequenza incontriamo una prima tappa critica a 156 Hz. A questa frequenza il gruppo RC sull’emettitore di Q705-Q805 comincia ad autoescludere la sua influenza dal circuito, lasciando, di “Re”, la sola componente interna da 13 Ohm (che rimarrà incontrastata sul campo solo a partire da poco meno di un 1 kHz e di cui abbiamo in precedenza preso come valore “sicuro” i 1225 Hz). A 156 Hz, Re vale ancora circa 16,4 Ohm, con un guadagno dello stadio non compensato di circa 4.738 (73,5 dB). L’influenza della compensazione comincia a farsi sentire con un contributo di 330 kOhm posti in parallelo sull’uscita del VAS che, riducendo il carico effettivo di questo a circa 62.9 kOhm, ne riduce il guadagno effettivo a circa 3.835 (71.7 dB).
Sul carico dello stadio di ingresso ciò si traduce nella presenza di un condensatore equivalente da 68 pF * 3.835 = 260,8 nF che appare in parallelo a R714-R814 come una reattanza di 3,9 kOhm. Il guadagno originale dello stadio di ingresso, pari a 15,3 si riduce gia a 14.3 (con carico complesso pari a 1.400 Ohm).

A partire da 1 kHz, l’azione del gruppo RC sugli emettitori di Q705-Q805 cessa di esistere, lasciando lo stadio a definire il proprio guadagno sul carico solo per mezzo della propria Re interna da 13 Ohm (il contributo residuo del gruppo RC vale circa 1.5 Ohm, ampliamento assorbito dalle tolleranze del circuito). In queste condizioni, senza il contributo della compensazione, il guadagno dello stadio è massimo e vale, come già trovato in precedenza, circa 5977.
La compensazione del C da 68 pF si fa però sentire in maniera ineludibile ed effettivamente dominante con un 40,6 kOhm che, posti in parallelo ai 77,7 kOhm di carico non compensato dello stadio, riducono questo a circa 27,7 kOhm, consentendo allo stadio un guadagno massimo di 2.130 circa (66,5 dB). In parallelo a R714-R814 il condensatore equivalente assume il valore di 144,84 nF, con una reattanza pari a 1.100 Ohm; il carico effettivo dello stadio diventa pari a 887 Ohm e il suo guadagno crolla da 15.3 a un misero 9.

Completiamo velocemente la carrellata dell’andamento del guadagno ad anello aperto per le frequenze di 5, 10 e 15 kHz.

A 5 kHz C da 68 pF contribuisce in parallelo al carico con 8.118 Ohm che abbassano il carico totale a 7,35 kOhm con un guadagno dello stadio pari a 565 (55 dB). C da 68 pF appare ora come un condensatore da 38,42 nF, con una reattanza in parallelo a R714-R814 pari a 829 Ohm – il carico effettivo dello stadio di ingresso si riduce a 725 Ohm e il suo guadagno a 7,4

A 10 kHz C da 68 pF contribuisce in parallelo al carico con 4.060 Ohm che abbassano il carico totale a 3,86 kOhm, con un guadagno dello stadio pari a 297 (49 dB). C da 68 pF appare ora come un condensatore da 20,2 nF, con una reattanza in parallelo a R714-R814 pari a 788 Ohm – il carico effettivo dello stadio di ingresso si riduce a 697 Ohm e il suo guadagno a 7,1

infine a 15 kHz C da 68 pF contribuisce in parallelo al carico con 2.700 Ohm che abbassano il carico totale a 2,61 kOhm, con un guadagno dello stadio pari a 201 (46 dB). C da 68 pF appare ora come un condensatore da 13.67 nF, con una reattanza in parallelo a R714-R814 pari a 776 Ohm – il carico effettivo dello stadio di ingresso si riduce a 689 Ohm e il suo guadagno a 7.

Vale la pena di notare che a 15 kHz il guadagno complessivo ad anello aperto dell’amplificatore sia ancora a 1.400 (63 dB circa), un buon risultato che però non deve far dimeticare che ormai siamo alle strette: se le sensibilità dichiarate per gli ingressi ad alto livello nel Service Manual sono affidabili (con tensioni espresse in Volt r.m.s) allora il guadagno ad anello chiuso dell’amplificatore, al netto delle richieste della rete dei controlli di tono, deve aggirarsi attorno ai 40 dB, che lascerebbe disponibile al sistema solo 23 dB di controreazione per poter spianare le magagne del circuito. Ora un coefficiente di retroazione di sole 14 volte sarebbe appena accettabile per un circuito le cui prestazioni ad anello aperto sono già praticamente allo stato dell’arte, una situazione abissalmente lontana da quella di questo V1700 che, se rappresenta uno “stato dell’arte” lo rappresenta rispetto a quella di tirare fuori fino all’ultima briciola dal fondo del barile. Con il che non significa che debba venire fuori una cosa cattivissima, anzi. Ma bisogna anche dire che per ottenere almeno la decenza qui ci va una dose un po’ consistente di fortuna… forse un po’ troppo.

L’ALIMENTATORE

L’alimentatore è volutamente (sotto)dimensionato per “tagliare” potenza agli stadi finali qualora ci si avvicinasse un po’ troppo spesso ai suoi limiti. Chi ha progettato questo finale non era un babbeo e, anche se probabilmente la scelta dei finali l’ha dovuta subire ob torto collo, l’alimentatore l’ha comunque dimensionato tenendo ben conto che non si può cavare sangue dalle rape.

3.300 microfarad riforniti continuativamente alla frequenza di 100 Hz si comportano di fatto come una sorgente di corrente continua avente in serie una “resistenza” pari a 1/(100Hz * 0,0033) = 1/0.33 = 3 Ohm per ramo, che di conseguenza produrrà 3 Volt picco-picco di ripple per ogni Ampere di assorbimento. Con 3 ampere di assorbimento di picco continuato, l’alimentatore “scende” di 9 Volt per ramo, riducendosi da 32 a 23 Volt effettivi (e anche qualcosa di meno, tenendo conto anche delle perdite del rettificatore e del trasformatore: diciamo che se la caduta si ferma a 20 Volt ci va ancora bene).
Questa drastica caduta della tensione di alimentazione è ciò che consente all’amplificatore di sopravvivere in condizioni di utilizzo normale – su 8 Ohm – nonostante i finali del piffero che usa. La stessa scelta dei diodi rettificatori denota come tutto l’apparecchio sia stato previsto per assorbire, in qualunque situazione, al massimo 1 Ampere medio continuo dal ponte raddrizzatore. Oltre, per tempi prolungati (qualche ora), passano a miglior vita pure loro, tirandosi dietro tutto il finale.

La tecnica di limitare la potenza effettivamente erogata dagli amplificatori “strangolando” il loro alimentatore con un voluto sottodimensionamento dei condensatori di filtro è, con gli amplificatori in classe AB, piuttosto anziana e collaudata: il valore di questi condensatori consente nella maggior parte dei casi (in pratica tutti quelli che impiegano alimentazioni non stabilizzate) di valutare con fondamento l’effettiva potenza di esercizio per cui è stato realmente previsto un amplificatore (un dato che nelle prove sulle riviste viene mascherato dalla artificiosa caratterizzazione della potenza erogata in “continua” e “impulsiva”, mettendo volutamente l’accento sulla seconda mentre quella che realmente conta, ovviamente minore, è solo la prima).

In questo caso lo strangolamento dell’alimentatore non solo è “dovuto” al prolungamento della sopravvivenza dell’apparecchio ma non è neppure il problema più serio di questo alimentatore, che è invece costituito dai suoi diodi rettificatori che, molto pianamente, sono previsti per cuocersi, punto.
Come per la scelta dei finali, la fregola del risparmio a ogni costo è sfociata nella negligenza pura e semplice.

Sarà forse un campione di bel suono ma per quel che mi riguarda un amplificatore del genere non lo inserirei nel mio impianto neanche se me lo regalano. Quantomeno non senza aver prima preso qualche provvedimento per evitare che cuocia nel bel mezzo di un ascolto.

Senza modificare le capacità di filtro (cosa che sconsiglio in maniera categorica) l’amplificatore, usando transistori adeguati e un ponte raddrizztore (o dei diodi raddrizzatori se si preferisce) in grado di cacciare fuori 5 ampere senza far storie, può essere posto in condizioni da erogare la sua potenza di targa (25 Watt su 8 Ohm e 30 Watt su 4) senza dover temere più nulla. La qualità generale rimane comunque quella che è ma almeno ci si guadagna in termini di tranquillità di ascolto.

La cosa più semplice è la sostituzione del ponte raddrizzatore di 1N4007 con uno di caratteristiche adeguate ad alimentare questo apparecchio che, pur con i suoi limiti, rimane sempre un amplificatore e non una radiolina da tavolo. Il mio consiglio è sostituirlo con un ponte monolitico di almeno 4 Ampere, tipo KBL04 ma se proprio si è innamorati dei diodi discreti ciascun 1N4007 può essere sostituito da un diodo da almeno 5 Ampere (per esempio MR754 della Motorola). Dopodiché si potrà star tranquilli che, al posto dell’alimentatore, fonderà cio che deve fondere, cioè i fusibili.

Per quanto riguarda i finali va subito detto che, di facilmente reperibile vi sono solo i transistori equivalenti della ST che, rispetto agli originali, migliorano soltanto la tenuta in corrente e la dissipazione in potenza – non che ci volesse poi molto ma è pur sempre qualcosa in più.
Con i transistori originali la resistenza termica tra giunzione e ambiente vale, come già detto più sopra, 8,17 °C/W di cui 4,17 °C/W interamente a carico dei transistori usati. Gli equivalenti, per risultare vantaggiosi, dovranno ridurre il più possibile questo termine. I candidati migliori di ST sono le serie BD705-BD712 e BD905-BD912, con resistenza termica giunzione contenitore di 1.7 °C/W la prima e 1.4 °C/W la seconda che alzano il limite massimo di dissipazione per transistor rispettivamente da 15 a 22 Watt la BD7xx e da 15 a 23 Watt la BD 9xx – cioè, per i nostri fini, praticamente equivalenti tra loro.
La mia preferenza andrebbe comunque alla serie BD9xx non tanto per il Watt in più, quanto per la tenuta del beta dei finali fino a correnti più alte che, pur non potendo compiere miracoli, migliorano l’interfaccia tra il carico e il VAS e di conseguenza ne irrobustiscono un po’ il fattore di smorzamento almeno fino a metà potenza nominale su 8 Ohm e rendendolo decisamente più adatto a pilotare diffusori anziché cuffie.

Una volta sostituiti i finali, le correnti di riposo andranno elevate da 2 a 10 mA per canale per compensare la maggior superficie attiva dei transistor utilizzati (le tensioni di taratura raccomandate sul service manual andranno quindi moltiplicate per cinque). Anche se possono apparire penosamente basse, CONSIGLIO CALDAMENTE DI NON SUPERARE QUESTI VALORI in quanto non farebbe che peggiorare in maniera anche drastica il problema della dissipazione e con tutta probabilità aumenterebbe in maniera percettibile il ronzio di fondo.

Ci sarebbe ancora qualcosa da dire su questo apparecchio ma, almeno per quel che mi riguarda, di attenzione ne ha avuta fin troppa. A differenza che dall’analisi del 7000, dove gli spunti interessanti e insoliti emergevano pressoché di continuo, dallo studio di questo V1700 emerge soltanto la buona capacità degli ingegneri giapponesi di fare i salti mortali per rendere passabile anche l’indigesto. I pochi accenni di spunti interessanti (come la “sagomatura” del guadagno ad anello aperto diretto a favorire le bande di frequenza più sensibili) alla fine si sono comunque persi nel marasma causato dall’inadeguatezza generale dello stadio finale.
Nonostante tutto, agli ingegneri giapponesi va in ogni caso il mio apprezzamento per lo sforzo compiuto, in sé meritevole e senz’altro degno di miglior causa. Ai merchandisers Grundig invece, che hanno messo a cuore leggero il loro marchio su un prodotto che avrebbero dovuto rivedere con maggior scrupolo, ne va un po’ meno: gli affari sono affari, non si discute ma tra il vendere e lo svendere un marchio di prestigio su ciò che, senza tanti complimenti, si può considerare paccottiglia elettronica, ci va una gran bella differenza.

Con buona pace di chi dice di aver trovato il nirvana in una cosa simile… ma ci si accontenta anche di meno alle volte.

Buona domenica a tutti
Piercarlo

immagini prese dal sito: http://www.goldfinch-mod.eu/wzmacniacze-2/grundig-v7000/grundig-v1700/

6 Comments

  1. Beh Roberto, come hai detto tu stesso: questo non è un Grundig ma un Sanyo rimarcato; che non ha nulla a che vedere con i veri Grundig. Alla Grundig ci ho lavorato come tecnico, come ho già detto in altre occasioni, ed uno dei miei primi incarichi è stato proprio quello di riparare questi apparecchi che arrivavano a centinaia e tutti col medesimo difetto: facevano andare in corto i woofer delle casse e spesso anche i tweeter (che se non sbaglio erano i box 402), che a loro volta mandavano in corto tutto lo stadio finale; mi ricordo che li riparavamo a catena di montaggio. Nella mia filiale, quella di Napoli, effettuavamo una modifica (che ora non ricordo più; se non sbaglio si cambiava il valore di alcune resistenze sullo stadio finale), per fare in modo che non saltassero più i finali e le casse. Quest’apparecchio purtroppo è stato uno degli aborti della nostra amata casa tedesca, che poteva anche risparmiarsi di rimarcare un’ apparecchio simile col proprio marchio prestigioso…

  2. il punto è: il V1700 ha il loudness non disinseribile” !!!
    Ciò comporta che la risposta in frequenza di questo entry level sia oltremodo esaltata. Esistono anche grafici a supporto… basta andare a cercarseli in rete. Un integrato che esalta 1,5 dB tra una banda e un’altra, è un amplificatore con anabolizzanti.
    1,5 db per un amplificatore come il V1700 sono la quarta parte della sua potenza totale!!! STOP. Le soluzioni fantasiose e bambinesche per rimettere le cose a posto (suggerite dai Guru di turno) – quelle di alzare di una tacca gli alti e i bassi – sono la cartina tornasole della pochezza tecnica di questi “santoni de’ noantri”.
    Poi chiaramente i poco esperti scambiano questa esaltazione dei toni come qualche cosa di piacevole; qualche cosa che gli altri amplificatori non hanno…. Per forza !!!! Non sono gli altri che barano, è il V1700 che trucca le carte. Ciò mi fa anche capire il livello di competenza di coloro che si mettono a fare confronti utilizzando quest’integratino con altri apparecchi meglio progettati per essere considerati Alta Fedeltà.
    Sbertucciare coloro che ascoltano con il loudness a pressioni acustiche basse e poi utilizzare questo amplificatore come la “pietra di paragone” delle amplificazioni Hi-Fi è una pura e semplice eresia.
    Consiglio… volare bassi e prima di azzardarsi a fare classifiche, di apparecchi e di persone, occorre accertarsi sempre della qualità di ciò che si vuol paragonare.

  3. … bassi esaltati.. sempre se non saltano prima i finali… 😉

  4. Grazie Antonio Salvatore per i chiarimenti, essendo tecnino Grundig alla filiale di Napoli, sono onorato di sentire le verità scomode di questo apparecchio tanto asannato in altri lidi e poco considerato per me, inanzi tutto inaffidabile, killer e giustiiziere di altoparlanti.
    Sono convinto che se c’era la supervisione dei veri tecnici teutonici della Grundig, questo progetto lo avrebbero bocciato immediatamente, senza metterlo in commercio, per di più avendo una parte del loudness che non si disinserisce a qualsiasi volume, non può essere considerato alta fedeltà, ma sicuramente un perfetto Myfi…..

  5. .. ne sono arrivati a centinaia .. li riparavano a catena di montaggio ed effettuavamo delle modifiche; se ben ricordo per prima cosa mettevamo un aletta di raffreddamento supplementare; poi si variava il valore di alcune resistenze sul preamplificatore, in modo da inviare ai finali un segnale meno intenso; di seguito si variavano le resistenze di carico (quelle di potenza sui finali) si sostituivano i pre ed i finali (se non sbaglio con transistor diversi); si regolava la corrente di riposo ed alla fine si mettevano sotto carico per una giornata intera inviando un segnale in ingresso, mettendo il volume al max e chiudendo le uscite con resistenze di carico; … se non risaltavano i finali… potevano uscire… e di solito poi andavano bene.. purtroppo sono passati quasi 30 anni e non ricordo più esattamente la modifica, se no l’avrei condivisa volentieri.

  6. Articolo molto tecnico (troppo per me). Di Grundig ne ho posseduti a decine, tra cui questo, ma anche un V5000 (mio padre aveva un negozio). Bassi perennemente esaltati? possibile. Lo avevo collegato a delle JBL-LX066 … veramente delle belle emozioni (veramente)
    alla fine mi faceva un difetto: il volume andava su e giù per qualche falso contatto credo … ora ne sto cercando uno

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