A mio avviso – il CCI non esiste.
Questo pezzo a firma Piercarlo Boletti è il secondo che pubblichiamo. (qui il primo)
Urge fare una premessa: Questo sito nasce per parlare di Grundig, dei suoi apparecchi, della bellezza e del fascino che ancora al giorno d’oggi svolgono verso tutti gli appassionati a prescindere dal fatto che abbiano un suono sublime o siano solo ottimi apparati di riproduzione sonora.
Lo scopo per il quale diffondiamo il suo articolo è quello di cercare di far comprendere all’appassionato di Hi-Fi che:
la conoscenza di alcuni fenomeni che agiscono sul suono non è di appannaggio solamente ad un manipolo circoscritto di persone ma ad un’ampia schiera di appassionati, tecnici e studiosi che conoscono e approfondiscono l’elettronica.
Grundig CCI è un insieme di regole conosciute da tempo ma con nomi tecnici ben precisi.
Grundig CCI non deve essere più considerato un segreto per pochi in quanto, per fortuna, in elettronica, al giorno d’oggi, segreti non ne esistono.
Sono un fan sfegatato di Piercarlo. Parla di elettronica con una passione e un trasporto che affascina. Anche i meno addentro alle tematiche tecniche riescono a capire il senso dei suoi articoli.
Come potete intuire dallo scritto, la sua voglia di comprendere e divulgare i fenomeni che regolano il buon funzionamento dei componenti è dato dall’amore che ha verso l’elettronica. Lo sprone che lo muove è senza dubbio contribuire a diradare la fumosità e la mancanza di chiarezza che circola intorno a determinati fenomeni spacciati come scoperte e rivenduti, spesse volte a carissimo prezzo, arrogandosi la paternità delle invenzioni.
Piercarlo studia i circuiti e analizza i fenomeni elettrici. Trova soluzioni e le mette a disposizione di chiunque abbia la volontà di applicarsi.
Il mio pensiero rispetto all’argomento Grundig CCI è abbastanza chiaro ed inequivocabile:
Tutto ciò che non viene spiegato con chiarezza sottintende una magagna, un’imperfezione o un motivo di vergogna
Non esiste una sola ragione per tenere nascosta una nozione. Sotterfugi, mezze frasi e comportamenti equivoci non fanno parte dello spirito che anima il nostro gruppo. Con la pubblicazione di questo articolo spero appaia ancor di più la distanza che ci separa da altri luoghi commerciali.
Io credo che chi ama veramente Grundig si debba discostare con forza da chi spaccia precise soluzioni adottate nel tempo dagli ingegneri tedeschi come nuove scoperte. Tali accorgimenti erano e sono conosciuti da preparati tecnici e appassionati.
Grundig curava maniacalmente le schermature al fine di evitare che gli apparecchi raccogliessero dalla rete elettrica, dall’etere, dall’ambiente, interferenze e disturbi di ogni ordine e tipo. Erano obbligati a farlo.
Un Ingegnere che lavorava nella fabbrica di Furth, tra uno sghignazzo e un altro nel sentir parlare di Grundig CCI, ci ha confidato che nei pressi dell’azienda c’era una base dell’esercito americano. La potente stazione di trasmissione irradiava a potenze tali da riuscire a generare disturbi che gli apparecchi captavano. Tale problematica, come spesso accade, è stata utilizzata come l’opportunità di migliorare gli apparecchi. La mente proattiva di Grundig trasformò un problema in un’opportunità.
Se avete la pazienza, la capacità e la voglia di utilizzare i consigli di Piercarlo, vi troverete a riconsiderare tutto ciò che è stato scritto rispetto all’argomento e a valutare con la vostra testa la realtà delle cose.
Potete trovare il testo originale dell’articolo integralmente riportato sotto a questo link
Roberto
Grundig CCI e ALTRE COSE…
Questo è il primo articolo sistematico in cui mi trovai ad affrontare la faccenda “CCI”: una faccenda ancora in corso e svolgimento che nel tempo si è rivelata decisamente più aspra e meno tecnica di quanto avrei gradito. Per quanto vi sia stata una certa evoluzione concettuale nel tempo, le idee fondamenta erano presenti in questo articolo che, anche da solo, è una buona base di partenza per capire le cose. Purchè, sia chiaro, non siate tra quelli che preferiscono il “mistero” per amore di misteri e mistiche varie collegate… Buona lettura!
Ciao a tutti. Come promesso, posto qui in forma più o meno sistematica le mie pensate su questa famosa (o famigerata) faccenda “CCI“. In fondo troverete anche alcune dritte per realizzarla con poca spesa (e nessuna modifica “pesante”) su un lettore CD qualsiasi (secondo me più bisognosi di cure ma anche più semplici da curare rispetto agli amplificatori, per i quali esistono approcci migliori che però richiedono pure modifiche non del tutto banali).
Per comodità di dialogo, continuerò a chiamare la “cosa” CCI ma, una volta capito di cosa si tratta (e almeno a questo credo di esserci arrivato…), esistono senz’altro nomi migliori.
Un paio di mesi fa pensavo che “diafonia” fosse una definizione sufficiente ma le riflessioni e le esperienze successive mi hanno fatto propendere per una definizione più omnicomprensiva: “autointerferenza”, di cui la diafonia è solo una manifestazione specifica.
Quello che dirò con il lavoro di Ambrosini, quale che sia, c’entra poco o nulla. In effetti ad Ambrosini (e a Clark Kent, che mi ha tirato dentro in questa storia) devo al più gli indizi sulla natura del fenomeno che mi hanno per così dire “messo in pista”. Quanto segue, giusto o sbagliato che sia, è quasi interamente farina del mio sacco: da quello altrui non c’era molto da tirar fuori.
Devo però ringraziare due persone: Clark Kent che mi ha dato l’opportunità di “scontrarmi” con questa faccenda e Franco che mi ha fatto pervenire “Noise Reduction Techniques in Electronic Systems” di Henry Ott che, anche solo a sfogliarlo, mi ha chiarito un po’ di cose.
(…)
NOTA IMPORTANTE – Nel seguito userò molto spesso la locuzione “alta frequenza” che va sempre intesa però come “frequenza ultrasonica”; non ho mai pensato, mentre scrivevo, a frequenze più alte di 200-300 kHz, per quanto, nel digitale, i fronti di salita e discesa dei gradini di uscita di un DAC hanno un contenuto di *radiofrequenza* propriamente detta sicuramente molto consistente.
Cominciamo col puntualizzare una cosa. Quale sia *precisamente* il “problema” di cui parla Ambrosini non lo so (e lui non aiuta certo a capirlo); so soltanto che gli indizi da lui forniti qua e là evidenziano l’esistenza di problemi di compatibilità (ma sopratttutto autocompatibilità) elettromagnetica nelle apparecchiature audio su cui si può ragionare e per cui si possono prendere dei provvedimenti mirati.
Il tipo di elettroniche più sensibili sono a mio avviso i lettori CD (e a maggior ragione i lettori DVD), per via del fatto che la parte analogica che precede l’uscita deve lavorare, oltre che in banda audio, anche in banda ultrasonica (il primo stadio analogico di un lettore DVD deve fare i conti, sotto l’aspetto del filtraggio, con frequenze che fanno già parte delle Onde Lunghe).
Gli amplificatori, per conto loro, sono sensibili a questo problema solo nella misura in cui vengono progettati per fare “figura” alle misure, con bande passanti e slew-rate debordanti rispetto alle necessità della riproduzione audio. Quando invece vengono progettati in maniera più sensata e funzionale (adottando comunque tutti gli accorgimenti che servono per ridurre ai minimi termini il rumore di fondo, quale che sia la sua composizione e origine), il problema cessa di esistere perché di fatto gli viene sottratto il terreno su cui nascere.
E‘ peraltro mia convinzione, maturata nel corso degli ultimi due mesi, che questo tipo di problema vada curato solo quando effettivamente esiste; questa “CCI” non ha effetti unidirezionali e se in molti casi può portare dei benefici, in altri può portare invece a effetti negativi, peggiorando la situazione invece di migliorarla. Ciò vale soprattutto per gli amplificatori con margini di stabilità più ridotti del normale. Questi ultimi peraltro devono essere già circuitalmente ottimi per conto loro; se un amplificatore è di suo una ciofeca, non c’è al mondo alcuna ottimizzazione di compatibilità elettromagnetica che possa contrastare questo fatto: ne ho avuto una riprova diretta con un V35 Grundig da me riparato in cui la trasparenza della riproduzione sonora rendeva trasparente… il fatto che è un cesso senza scusanti.
Con gli altri cinque Grundig con cui ho avuto a che fare (R25, R30, V1850, V7200 ) ho avuto impressioni decisamente migliori! Prima però di discutere le “cure” possibili sui lettori CD (che non si limitano certo a levargli il coperchio e anzi lo devono lasciare al loro posto!) o ancor meglio la logica da seguire per adottare in proprio gli interventi più opportuni, cercherò di definire l’insieme per così dire “teorico” di considerazioni che li motivano.
I TRE DELL’AVE MARIA…
I fattori principali che negli impianti audio influenzano la qualità della riproduzione musicale, rendendola più o meno gradevole e fruibile, sono sostanzialmente tre:
- Linearità e stabilità della risposta in frequenza in tutte le possibili condizioni di lavoro *realistiche* del sistema (non al banco di misura!). Condizioni realistiche significa: mentre riproduce musica collegato a normali sorgenti e a normali diffusori con normali cavi, con tutti i pro e i contro di ciascuno.
- Entità, composizione delle distorsioni *e loro costanza* in tutte le possibili condizioni di lavoro del sistema sotto l’aspetto della potenza erogata e delle frequenze a cui è erogata.
- Entità e *costanza* del rumore di fondo residuo, sua composizione e sensibilità degli apparecchi ai disturbi sia provenienti dall’esterno sia generati dall’interno stesso dei circuiti in tutte le possibili condizioni di lavoro del sistema.
Per tutti e tre i fattori vale la regola che più i contributi estranei al segnale audio sono costanti e scorrelati dal segnale stesso, maggiore è la possibilità da parte del nostro sistema uditivo (se non superano certe soglie beninteso) di sopprimerne la percezione rendendoli ininfluenti durante l’ascolto. Ciò vale soprattutto per il rumore di fondo che, una volta scorrelato dall’andamento del segnale audio, viene di fatto cancellato dalla percezione cosciente dell’evento sonoro. Dei tre fattori, il più ostico da trattare è il terzo. Mentre i primi due aspetti possono essere affrontati e adeguatamente risolti con opportune scelte circuitali, per il terzo occorre tenere conto dell’ambiente in cui andrà a lavorare una catena audio, le cui peculiarità non sono tutte prevedibili a priori. Inoltre, per alcuni aspetti, i problemi posti dal “terzo fattore” richiedono, per essere affrontati e risolti con profitto, più una mentalità di lavoro da fisico sperimentale che non da ingegnere “standard”. Senza togliere nulla a nessuno naturalmente… Ma la forma mentis di chi lavora su queste cose è secondo me determinante.
IL RUMORE NEI CIRCUITI AUDIO
Nei circuiti elettronici usati in campo audio esistono almeno quattro fonti *elettriche* di rumore:
- Rumore intrinseco dei componenti. Questo tipo di rumore è minimizzabile (ma non eliminabile) scegliendo opportunamente i componenti attivi e i circuiti che garantiscano loro le impedenze di lavoro più opportune a farli “stare buoni”. Comunque, raggiunto un certo limite (90-100 dB per amplificatori ad alto livello o di potenza, non più di 70-75 dB, in condizioni di *esercizio reale*, per sorgenti a basso livello), ci si mette il cuore in pace e e basta. L’alternativa è costruirsi un preamplificatore raffreddato ad azoto liquido e non so quanto ne valga la pena… 😉
- Le interferenze dovute all’alimentazione da rete elettrica.Qui va messo in chiaro che non solo non esiste l’alimentatore perfetto ma non esiste neppure un buon alimentatore che *costi poco*. Per quanto riguarda la permeabilità ai disturbi da e verso la rete elettrica, l’alimentatore “solito” composto da un normale trasformatore, più rettificatore e barilotti assortiti di livellamento, è semplicemente una porta spalancata. Non lasciatevi ingannare dal fatto che i trasformatori di alimentazione sono appunto “di alimentazione”: nonostante distorsioni e attenuazioni, ci passano disturbi che arrivano fino alle onde medie. L’unica cosa che impedisce a questi disturbi di mettersi in primo piano è il loro essere sincroni con la frequenza di rete, da cui vengono mascherati e “fatte passare” per componenti del ronzio di fondo pur non essendole affatto. Ma anche non essendo in primo piano, i loro danni li fanno: è principalmente a loro che si deve il deterioramento della timbrica quando si passa dall’alimentazione a batteria (che ha i suoi difetti!) a quella di rete.Mentre il ronzio può essere “ucciso” da un adeguato tasso di retroazione che funge anche da SVRR (“supply voltage rejection ratio”, che esprime in dB l’insensibilità di un circuito ai disturbi presenti sulle alimentazioni), contro i disturbi ad alta frequenza non esiste controreazione che tenga perché nessun amplificatore può adottare ad alta frequenza tassi di retroazione sufficientemente alti senza diventare allo stesso tempo instabile.
Due parole sull’efficacia dei filtri di rete e sulle loro possibilità di deteriorare la timbrica di una catena audio:a) I filtri di rete più comuni, se il collegamento a terra non è fatto con tutti i crismi e l’impedenza di questa terra non è la più bassa possibile, così come sono non solo non servono a nulla ma possono addirittura *aumentare* la quantità di disturbi presenti nella rete elettrica in prossimità dell’impianto, soprattutto in quei casi in cui tutte le spine fanno capo a una sola ciabatta filtrata.
b) Potendo in alcuni casi favorire il rientro dei disturbi generati da una parte della catena audio in altri passando per gli alimentatori, i filtri di rete *possono* avere effetti dannosi sulla timbrica dell’impianto.Che poi lo facciano o no dipende dalla qualità effettiva degli alimentatori di ciascun apparecchio. In realtà i filtri di rete possono essere utilissimi anche nei casi in cui la qualità della terra lasci a desiderare (o non esista del tutto), purché siano progettati per *dissipare* l’energia dei disturbi che gli capitano addosso anziché limitarsi a non farsi attraversare da essi. Da soli i filtri di rete non possono certo “riabilitare” un alimentatore fatto con i piedi ma, se concepiti e realizzati per “mangiarsi” i disturbi anziché limitarsi a dirgli “qui non passi”, possono comunque contribuire a ridurre di molto la loro capacità di deteriorare il rapporto segnale rumore dell’impianto audio. Un disturbo “vivo” può sempre passare da un’altra parte, mentre un disturbo “morto”… è morto! 🙂 - Le interferenze condotte da e verso il mondo esterno con qualunque tipo di connessione ad esso (cavi di segnale, cavi di potenza, cavi di alimentazione ma anche accoppiamenti parassiti di qualunque genere tra apparecchi diversi posti vicini tra loro ecc.). Le “porte” principali per questi disturbi sono anzitutto il trasformatore di alimentazione e le connessioni degli apparecchi al resto del mondo.Sul trasfomatore abbiamo già accennato; aggiungo solo che le connessioni a una rete elettrica *comune* a tutti i componenti di una catena audio, costituiscono ANCHE una vera e propria “connessione secondaria” per tutti i disturbi e le immagini distorte del segnale audio che si formano *dentro* la catena audio. Per le connessioni di segnale va tenuto presente che esse sono prima di ogni altra cosa *connessioni*: su di esse può transitare *qualsiasi cosa* e non solo il segnale audio che si desidera riprodurre. E con le normali connessioni sbilanciate è praticamente sicuro che ciò succeda in quanto, specialmente ad alta frequenza, possono attivarsi a causa delle capacità parassite tra i vari apparecchi (specialmente se impilati uno sopra l’altro), veri e propri anelli di massa “invisibili” che possono tranquillamente vanificare un “buon” rapporto segnale/rumore che, magari “portentoso” in banda audio, ad alta frequenza può ridursi a ben poca cosa – e questo, negli apparecchi in cui l’alta frequenza comunque “gira” (sintonizzatori e lettori CD o peggio DVD), di casini ne può fare parecchi.
- Le autointerferenze tra stadi diversi dello stesso circuito. Questo tipo di disturbo è quello che ci sta più a cuore. Per capirsi meglio occorre però aprire una parentesi sulle “immagini” del segnale audio. Quando, in un circuito qualsiasi, si devono fare i conti con la possibilità che elabori segnali che non dovrebbe elaborare o li elabori in posti diversi da quelli destinati allo scopo, si deve sempre tenere bene a mente che le definizioni di “ingresso” e di “uscita” date a quanto si desidera considerare tali, sono puramente convenzionali. In effetti in un circuito *tutto* può essere ingresso e uscita *contemporaneamente* e può esserlo a maggior ragione se il circuito è composto da più stadi controreazionati. I fenomeni elettrici non sanno leggere le etichette e, come l’acqua, si infilano ovunque trovino strada per farlo.
La vera “regina” dei circuiti, quella che decide dove vanno effettivamente a finire i segnali (o meglio la loro energia) e cosa si possa ragionevolmente definire “ingresso” e “uscita” è *l’impedenza* che esiste su ciascun nodo del circuito.
Se si sbaglia a valutare la sua entità o su di essa si fanno a priori assunzioni non verificate è praticamente sicuro che si andrà incontro a dei problemi; quelli relativi al rapporto segnale rumore e alla suscettibilità ai disturbi sono soltanto i più comuni. Altri meno comuni ma molto più pericolosi sono gli inneschi.
Di solito, in un circuito audio, dove l’aggettivo “trascurabile” scorrazza alla grande e fa più danni è l’impedenza delle linee di alimentazione e, in misura minore, dell’alimentatore stesso.
Allo “scorrazzamento” contribuiscono i modelli dei circuiti usati per fare i calcoli (compreso il loro utilizzo in SPICE) che solitamente, per semplificarsi la vita, danno per scontato che le linee di alimentazione e i riferimenti a zero Volt siano a impedenza nulla; il che induce a pensare che, anche se nella realtà in elettronica non esiste niente a impedenza nulla, occuparsi di questo dettaglio sia solo una questione accademica e non di sostanza.
Sfortunatamente le cose non stanno in questo modo neppure nei circuiti audio più semplici. Lo può constatare chiunque cambiando un comune condensatore di livellamento dell’alimentazione in uno stadio di segnale. Anche ammettendo di alimentare tale stadio con un buon alimentatore stabilizzato che levi ogni traccia di ronzio, se nella cella RC di filtro il condensatore viene aumentato in misura consistente (diciamo dalle cinque alle dieci volte), la timbrica dello stadio cambia completamente, ripulendosi non solo in bassa frequenza (come è ovvio) ma anche in *alta frequenza*. Il perché risiede nella differente ESR dei condensatori elettrolitici: un elettrolitico più grosso con ESR più bassa, *chiude meglio* verso massa il circuito del segnale, avvicinando il suo funzionamento a quello previsto nei modelli. La differenza, a onta dell’aggettivo “trascurabile” spesso usato in queste circostanze, è *nettamente udibile*.
Gli apparecchi più sensibili a questo problema sono ovviamente i finali di potenza e lo sono tanto più quanto sono potenti. L’impedenza di un alimentatore normale, a prescindere dal comportamento delle induttanze e delle capacità parassite coinvolte (che vengono “svegliate” soprattutto dallo slew-rate dei segnali che le solecitano), non può essere inferiore alla ESR dei condensatori di filtro principali, che, finendo in serie alle linee di alimentazione, fanno sì che in presenza di variazioni importanti di corrente, si generi, sovrapposta alla continua, una vera e propria *modulazione* che “copia” il segnale principale.
Questa modulazione, nella maggioranza degli stadi finali che ci sono in giro, una volta generata dai finali “rientra” negli stadi a monte di questi, aumentando la distorsione di intermodulazione di tutto l’amplificatore. Ma non fa soltanto questo: essa “esce” pure dall’amplificatore attraverso il trasformatore di rete che, durante il periodo in cui i rettificatori sono in conduzione, si comporta come un vero e proprio *trasformatore di modulazione*. La cosa non comporterebbe problemi di sorta se l’impedenza della rete elettrica fosse sempre realmente trascurabile ma visto che così non è, lascio a voi immaginare le conseguenze sul resto della catena audio *a monte* dei finali.
In assenza di rimedi, in alta frequenza si verifica una sinergia nefasta di quanto segue:
- a) L’impedenza della rete elettrica non è più nulla ma, in presenza di variazioni di corrente con alto slew rate, può diventare transitoriamente, nelle vicinanze dell’impianto, consistente al punto da generare significativi disturbi in tensione che “accompagnano” il segnale audio (e ne costituiscono un’immagine distorta ma *sincronizzata*) e possono rientrare nel resto della catena audio.
- b) Se gli alimentatori dei componenti a monte del finale non sono progettati tenendo conto del problema, queste “immagini” generate dai finali e trasmesse in rete attraverso il loro trasformatore possono rientrare e indurre intermodulazione anche in apparecchi diversi dai finali. I tradizionali alimentatori stabilizzati, non pensati per affrontare questo problema, sono impotenti a contrastare disturbi di questa natura.
- c) Se i finali sono due o se vi è un finale “dual-mono”, la loro separazione stereofonica ad alta frequenza viene compromessa, vanificandone le qualità. Ciò non solo perché i due finali interferiscono tra di loro ma anche perché la somma monofonica delle loro interferenze può andare a disturbare la separazione delle sorgenti a monte. A quanto ne so, probabilmente l’unica sorgente esente da questo problema è il giravinile, che però di suo non ha certo una separazione stereo da brivido!
- d) Buon ultimo, è perfettamente possibile, nel caso di disturbi ad alta frequenza e in assenza di un trasformatore di isolamento, che la timbrica e la separazione stereofonica di una catena audio venga influenzata dal verso di inserzione delle spine di rete degli apparecchi che la compongono (ringrazio Franco per avermi aiutato a capire come questo *può* avvenire anche se questo non significa che necessariamente avvenga).
I LETTORI CD, DVD E I CONVERTITORI DAC IN GENERE
Tutte le sorgenti che generano il segnale audio partendo da una sua rappresentazione digitale sono particolarmente esposte al problema delle “immagini” del segnale audio per la buona ragione che queste immagini sono di fatto già incluse nel segnale a gradini prodotto dal convertitore digitale-analogico, di qualunque tipo esso sia.
L’entità del problema, in assenza di “cure” può essere verificata da chiunque riversando il contenuto di un CD su un registratore a cassette: la timbrica che ne risulta, a prescindere dai limiti del registratore, è incontestabilmente migliore di quella del CD riprodotto “crudo” direttamente dal suo lettore.
Lo stesso tipo di differenza (dovuta però ad altre cause) lo si nota tra registrazioni digitali “pure” e quelle che sono soltanto riversamenti in digitale di master analogici: se non vi sono ulteriori manipolazioni (o peggio le famigerate “rimasterizzazioni”) la timbrica delle seconde è nettamente migliore di quella delle prime. Lo stesso accade nel riversamento su CD di dischi analogici che, nonostante la digitalizzazione, conservano una timbrica da analogico. Contrariamente a quanto molti sarebbero indotti a pensare, il motivo della “durezza” di molte registrazioni digitali non risiede nell’avere qualcosa “in meno” ma qualcosa *IN PIU* rispetto agli equivalenti analogici: e precisamente delle componenti ultrasoniche (“immagini” del segnale audio) che in analogico semplicemente *non esistono*.
Il problema è noto da tempo e almeno per un aspetto, il cosiddetto “rumore di quantizzazione” (che è in realtà una forma di distorsione vera e propria, non un rumore), si è cercato di porvi rimedio con l’introduzione del cosiddetto “dithering” (l’iniezione di una sorta di “rumore” digitale sul segnale principale che rende ininfluenti uno o due dei bit a più basso valore dei 16 complessivi) che altro non è che un sistema per rendere casuale e scorrelato dal segnale audio tale rumore di quantizzazione rendendolo più effettivamente simile a un “rumore” anche dal punto di vista timbrico.
Questa è probabilmente anche la ragione principale del perché le registrazioni analogiche digitalizzate senza altri interventi suonano meglio di quelle digitalizzate direttamente: semplicemente il rumore di fondo proprio delle sorgenti analogiche costituisce un meccanismo di *dithering naturale* – e per giunta realmente casuale.
Per capire i problemi che possono esservi all’uscita di un convertitore analogico-digitale, occorre farsi un’idea della reale natura del segnale che genera non solo nel dominio del tempo (un insieme di gradini) ma anche in quello della *frequenza*. Se la si guarda in questa ottica, il segnale digitale prodotto da un DAC non è altro che la somma di bande laterali di più portanti *multiple della frequenza di campionamento* con le rispettive portanti *soppresse*. Ciò che differenzia questo sistema da un normale sistema di modulazione a banda laterale è che nel segnale uscente da un DAC esiste pure una *portante soppressa a frequenza nulla* che permette di fare a meno di doverla rigenerare per “demodulare” il segnale audio che interessa.
Da questo punto di vista il sistema di digitale non ha niente; l’unica particolarità del sistema che in effetti merita l’appellativo di “digitale” è la quantizzazione in sé stessa del segnale, la cui risoluzione costituisce la vera limitazione intrinseca del sistema. Una limitazione che, se poteva avere destare qualche perplessità in un sistema a 16 bit, diventa completamente accademica in un sistema a 24 o più bit: in questo caso infatti qualunque “rumore di quantizzazione” viene di fatto *sepolto dal rumore naturale* presente in qualunque registrazione audio, anche la migliore.
A mio avviso, il sistema a 24 bit usato nei DVD sarebbe in effetti la risposta “definitiva” ai problemi del digitale audio se non si fossero concessi l’enorme cazzata (penso motivata da sole ragioni commerciali) di estendere la banda passante un (bel) po’ troppo oltre la banda audio. Personalmente, se dovessi mettere seriamente le mani su un DVD, gli imporrei una banda passante massima di 30 kHz, lasciando il resto ai topi, se gli interessa.
Stante la natura prima detta del segnale prodotto da un DAC (un bel fritto misto di un segnale a bassa frequenza e di sue immagini che sono a tutti gli effetti *componenti a radiofrequenza*), la linearità e la velocità di risposta dello stadio di uscita analogico a valle di un DAC sono assolutamente determinanti nel definire la timbrica complessiva di tutto il lettore. Basta un niente perché il primo stadio, dei due che solitamente compongono il circuito di uscita di un lettore, da qualunque cosa fosse prima, si ritrovi trasformato in un bell’intermodulatore… con abbondanza di materiale da pastrugnare!
L’operazionale (o il circuito discreto) che si trova direttamente a che fare con l’uscita del DAC deve essere scelto, a prescindere da etichette “audio” di qualunque genere, tenendo bene a mente che quell’uscita… morde! E lo stesso vale anche per il resto del circuito che gli sta attorno, a partire dalle alimentazioni: piaccia o no qui gira ANCHE della radiofrequenza e vanno pertanto prese tutte le precauzioni del caso per evitare che possa andarsene in giro a rompere le scatole a tutti!
Detto per inciso, il Grundig 7500 e il Philips 303 (praticamente identico) sono finora gli unici lettori in cui ho visto trattare l’elettronica digitale e analogica di questo tipo di apparecchi con il rispetto che meritano: confinandola in una gabbia molto simile a quella usata per gli alimentatori switching (perché *é* un circuito switching, anche se di bassa potenza) e usando, per le uscite del segnale, gli stessi condensatori passanti che si usano solitamente per i tuner RF dei televisori.
Nei Philips che ho io questo ruolo viene parzialmente svolto dal piano di massa del circuito stampato ma non è assolutamente la stessa cosa.
COSA SI DOVREBBE FARE IN UN LETTORE CD…
Siamo ormai quasi alla fine… pazientate ancora qualche paragrafo! 🙂
Nella sezione di uscita di un lettore CD, soprattutto sull’uscita vera e propria del DAC, sono presenti segnali sufficientemente ripidi (e con sufficiente energia) da poter essere *irradiati* all’interno del contenitore e, senza le dovute precauzioni, anche all’esterno, passando per i cavi di segnale e per il trasformatore di rete.
In questo stadio, se si vogliono evitare ulteriori problemi oltre a quelli intrinseci del circuito detti prima, *devono* essere presi tutti i provvedimenti possibili per far sì che i suoi disturbi vengano irradiati in misura minima e, quella che scappa, venga prontamente *assorbita e dissipata* nelle immediate vicinanze.
A tale scopo la qualità della realizzazione fisica è determinante: i percorsi del segnale devono essere i più brevi e protetti possibili dal resto del circuito e, se fattibile, vanno presi gli accorgimenti più opportuni per diminuire il suo slew-rate eccedente quanto necessario a una corretta riproduzione del segnale audio.
Detto in altro modo, il tempo di salita dei “gradini” va rallentato e i gradini stessi vanno per così dire “stondati”: meno spigoli ci sono nella forma d’onda e minori sono le possibilità di irradiazione. Ciò può essere ottenuto utilizzando delle piccole induttanze in serie al segnale stando però attenti che le stesse da elementi di blocco non si trasformino esse stesse in elementi irradianti.
Se possibile vanno pure utilizzate ferriti del tipo che di solito si mettono intorno ai cavi proprio per evitare la propagazione dei disturbi. Buon ultimo, quando possibile, l’intero DAC va schermato dal resto del circuito di uscita alla stregua di un stadio RF e lo stesso va fatto, con una schermatura distinta, per il resto dello stadio di uscita. …
QUALCHE REGOLA…
L’imperativo da seguire è: confinare il più possibile i disturbi sul nascere e sopprimere subito quelli che scappano dal recinto. Per il confinare, non sempre fattibile, ho già detto prima.
Per la soppressione delle fughe vanno invece seguite alcune regole:
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Tra i possibili percorsi che può trovarsi di fronte, un disturbo (come qualsiasi altro segnale elettrico) “sceglie” sempre quello a impedenza minore. Se il percorso a impedenza minore è verso massa, lì andrà a finire senza tante storie, lasciando in pace tutto il resto.
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A parità di impedenza verso terra, di due o più schermi è più efficace quello che si trova più vicino alla fonte del disturbo. Detta in altro modo, tra le “discariche” possibili per mandarci un disturbo, va favorita quella più vicina alla sua origine.
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Le aree di massa destinate a “discarica” non devono per nessuna ragione avere altre funzioni in qualche modo legate al trasporto di segnali.
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L’energia di un disturbo (come qualsiasi altra energia del resto) non si può né creare né distruggere ma soltanto trasformare in un’altra forma di energia. La forma più semplice (e in questo caso innocua) di questa è il calore. Se nelle vie di fuga date ai disturbi viene fornita loro la possibilità di attraversare delle resistenze, queste dissiperanno la loro energia facendoli scomparire come fenomeno elettrico.
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I contenitori degli apparecchi vanno usati esclusivamente come schermo generale, ovvero devono costituire, dell’opera di schermatura, solo il tocco finale e non la sua ossatura principale. Non solo essi non possono sostituirsi agli schermi necessari ai singoli stadi ma, nel caso li si obbligasse a farlo, a frequenza ultrasonica diventano in realtà delle scorciatoie per la diffusione dei disturbi dai singoli stadi all’intero lettore. Questo perché avendo ogni sezione del circuito una propria impedenza verso la massa generale dell’apparecchio, tende a vedere le superfici del contenitore come dei percorsi di chiusura a massa alternativi rispetto a quelli a loro assegnati dallo stampato. Il risultato è che ciascun stadio a frequenze ultrasoniche si trova collegato a massa da un vero e proprio anello di massa chiuso da capacità parassite, di cui un ramo (quello sullo stampato) è individuale e specifico dello stadio in questione, mentre l’altro è comune a tutto l’apparecchio. Ora per quanto la differenza di impedenze sia tale da privilegiare l’efficacia dei collegamenti di massa sullo stampato (che non hanno intermediari capacitivi), il secondo collegamento verso massa che passa attraverso il telaio e le capacità parassite verso di esso, a frequenze ultrasoniche comincia ad essere sufficientemente bassa (si passa dalle centinaia alle decine di MOhm) da re iniettare disturbi di ampiezza che a 20 kHz è già confrontabile con quella del rumore di fondo dell’apparecchio, con tendenza a salire al salire della frequenza dei disturbi. Alle frequenze multiple di quella di campionamento, dove giacciono le immagini del segnale audio prodotte dal DAC, l’anello di massa parassita formato dalla connessione primaria del circuito alla massa generale dell’apparecchio e la connessione secondaria formata dalle capacità parassite verso il telaio, è probabilmente già sufficientemente efficiente da degradare il rapporto segnale disturbo dello stadio di uscita a non più di 40-50 dB effettivi e a introdurre piccolissime quantità di retroazione *positiva* in grado di aumentare la distorsione di intermodulazione dell’intero stadio di uscita in quantità sufficienti a mutarne la timbrica.
Nei lettori CD e DVD, il cuore della “questione CCI” è tutto qui.
CHE COSA SI PUO’ FARE?
Prendo esempio dagli interventi fatti sul mio lettore. Anzitutto, per maggior chiarezza, dico subito che, dei tre o quattro interventi che ho fatto, quello di saldare pure “pure” è risultato il meno efficace: qualcosa è cambiato ma non certo al punto da farmi insistere su quella strada.
Ha invece funzionato molto bene – e dopo aver scritto quanto sopra ho finalmente capito anche il perché! 🙂 – il collegare il coperchio inferiore del lettore (quello più vicino allo stampato) alla massa delle uscite RCA da un lato e, dall’altro, chiuderlo con una rete RC verso una massa molto vicina alla sezione di uscita (in effetti è saldata alla massa del filtro FIR, da dove in pratica comincia la sezione di uscita vera e propria).
Quello che in effetti è cambiato è che il coperchio inferiore, anziché essere uno schermo generale di tutto il circuito, ora è diventato funzionalmente lo schermo della *sola sezione di uscita*. Il problema “CCI” non è stato risolto ma soltanto spostato da un’altra parte… precisamente sulla parte di elettronica che controlla i motori e della cui “timbrica” sinceramente non me ne importa più di tanto! :-).
Se le punte “pure” non hanno funzionato un granché, per ragioni che non mi sono ancora del tutto chiare ha invece funzionato bene la saldatura di *intere resistenze* ancorate per un terminale alla massa che gira intorno al DAC e per l’altro lasciate libere di dirigersi una verso il frontale e l’altra verso il retro, rimanendo comunque sopra la parte strettamente audio del lettore (DAC e filtri di uscita).
Sospetto che la ragione della loro efficacia sia semplicemente il fatto che, essendo più grosse, esibiscono anche una maggiore capacità parassita verso il coperchio (lo stesso di prima) a cui offrono ulteriori percorsi di chiusura verso le masse del circuito che mi interessa di più e non verso masse “a caso”.
Ho anche fatto, già che c’ero, altri interventi di risistemazione di modifiche che avevo già attuato una decina di anni fa che però non hanno portato altri cambiamenti di timbrica – che ora è semplicemente *molto buona* e soprattutto assolutamente naturale: il pianoforte se me lo suonassero dal vivo sotto il muso non potrebbe essere più naturale. Più realistico sì (e ci mancherebbe…) ma non più naturale di così.
Alla fine della fiera, la morale da trarre mi pare la seguente: se non puoi combattere i tuoi nemici, prova ad allearti con loro. Non molto originale ma, almeno in questo ambito, insolita.
Infatti, a parte il RI arrangiamento dei collegamenti di massa del coperchio inferiore del lettore, la vera modifica posta in essere è stata un *aumento localizzato* delle capacità parassite in modo da fornire a disturbi e spurie di vario genere un percorso preferenziale verso punti di scarico a massa *scelti da me* e non dal caso. E mi pare tutto sommato, per il costo che ha, una soluzione veramente strafiga: il circuito non è cambiato in nulla rispetto a prima, gli si è semplicemente fatto un po’ di pulizia (elettrica) intorno… con risultati, perdonatemi il giochino di parole, proprio “brillanti”! 🙂
Cosa si può volere di più? 🙂
Ciao e buone ferie a tutti! Piercarlo